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Costume Colloquium IV: la moda, l’arte e i colori

Dal 20 al 23 novembre Firenze si è tinta di mille sfumature grazie alla quarta edizione di Costume Colloquium, il simposio biennale di cultura della moda che quest’anno verteva sul tema Colors in Fashion. I maggiori esperti e studiosi del settore con i loro papers hanno acceso un dibattito serrato sull’influenza del colore nella moda, nella storia del costume e nella vita di tutti i giorni. Vista l’elevata qualità e quantità di contenuti che ho cercato di assorbire come spugna e di cui farò tesoro anche per il futuro, ho deciso di dividere il reportage dell’evento in più articoli, dedicando quello di oggi al rapporto tra moda, arte e colore.

Costume Colloquium IV

Nonostante la moda non sia ancora culturalmente riconosciuta come una delle 11 arti del mondo antico e contemporaneo, Costume Colloquium IV si è rivelata essere un’ulteriore occasione per discutere del rapporto dicotomico che intercorre tra queste discipline, e di come nel tempo si siano influenzate a vicenda grazie anche alla nascita delle nuove tinture sintetiche a fine Ottocento. Uno dei temi caldi, sviscerato da più relatori sotto molteplici aspetti, riguardava infatti la effettiva corrispondenza cromatica che vi poteva essere tra i modelli di abiti presentati nelle immagini in bianco e nero delle riviste femminili del XIX secolo, e ciò che realmente veniva realizzato dagli atelier.

 

First issue of vogue - December 1892
First issue of vogue – December 1892

 

Susan Kay-Williams, Chief executive of the Royal School of Needlework in London, con il suo paper dal titolo “Shade Cards and Dye Sample Books 1856-1906: What Do They Tell Us About Colors in Fashion of the Period?” fa notare come in 50 anni si sia sviluppato un intero business mondiale attorno alle tendenze colore e se dapprima le clienti si limitavano a portare ai propri sarti i modelli da replicare scegliendo tessuti e colori in base alle proprie necessità o alle brevi suggestioni scritte sulle riviste, con il tempo si è assistito ad una differenziazione dei gusti cromatici che variavano da paese a paese determinando addirittura la scomparsa di alcune tinte dalle palette. Grazie allo studio di Charlotte Nicklas, Senior Lecturer from the University of Brighton, dal titolo “Cabbage Green, Tyrian Purple and Eugénie Blue: Color and Language in Mid-Nineteenth Century Women’s Fashion” è stato divertente scoprire come nel gioco delle tendenze cromatiche, un ruolo importante fosse detenuto anche dai nomi sofisticati che gli autori delle riviste femminili attribuivano ai colori. Oltre ai più comunemente diffusi “cabbage green”(verde cavolo), “lavender bloom”(lavanda in fiore) e “raven’s wings” (ali di corvo) che rivelano riferimenti naturalistici, le lettrici dovevano abbinare immagini in bianco e nero a tinte dai nomi evocativi (e rigorosamente in francese) come “Terre d’Egypte”, “Fumée de Londre”, ai rossi di battaglie sanguinolente tra cui “Magenta”, “Marengo” e “Solferino”, oppure alla classe di personalità contemporanee importanti come “Eugénie blue” e “Haussman red”, ma non era neanche poi così raro trovarsi davanti a espressioni come “Indescrivibile”, dato che in quell’epoca di novità riuscire a far visualizzare un colore era una vera e propria sfida.

 

Harper's Magazine - 1860
Harper’s Magazine – 1860

Jennifer Rice, archivista freelance di New York, presentando lo speech “Imagining Color: Fashion and the Hand-colored Postcard” sostiene che possiamo farci un’idea del sempre maggiore interesse collettivo nei confronti delle foto colorate grazie all’incredibile diffusione delle cartoline postali colorate a mano. Tanti erano i soggetti di questi piccoli quadretti di carta, primi tra tutti i ritratti di donne di paesi lontani con indosso i costumi tradizionali, oppure le meravigliose fogge degli abiti indossati delle attrici più famose, che trasportavano l’immaginazione dell’osservatore in un mondo fantastico ma reale, a cui i coloristi si divertivano ad aggiungere pattern decorativi e gioielli per enfatizzare l’atmosfera onirica già conferita dal colore.

Cartoline postali colorate a mano: notare le aggiunte fantasiose dei coloristi con gioielli e stampati inventati

Con il paper “Rough Wolves in the Sheepcote: the Meanings of Fashionable Color, 1909-1914” di Clare Rose (visitate il suo blog sulla storia della moda a cavallo tra XIX e XX secolo http://clarerosehistory.com) , Contextual Study Lecturer at The Royal School of Needlework, entriamo nel vivo della questione arte/moda poiché nonostante le palette colore presenti su riviste come Les Modes suggerissero già nel 1904 tinte intense quali “Royal Blue” e “Mandarin”, convenzionalmente nella storia della moda si attribuisce a Paul Poiret l’introduzione di tinte vibranti e contrastanti soprannominate “lupi feroci” al posto dei colori pastello “pecorelle”, e questo grande cambiamento si deve principalmente alla comparsa sulla scena artistica internazionale di movimenti come i Fauves (1905), i Futuristi (1909) e dei Balletti Russi di Diaghilev (1909). Come riporta anche Michelle Finamore, Curator of Fashion Arts at the Museum of Fine Arts in Boston, nel suo studio “Color before Color: Tinting Fashion Reels in the Silent Era”, Paul Poiret conosceva bene l’importanza del colore e nel 1913 fu uno dei primi stilisti a filmare i suoi defilè utilizzando il Kinemacolor, un costoso processo di coloritura delle pellicole cinematografiche, ma che permise di presentare ad un pubblico molto vasto la sua collezione orientaleggiante durante il primo viaggio negli Stati Uniti.

 Abiti Paul Poiret – MET Museum, Costume Institute collection, New York

Spostandoci cronologicamente di qualche decennio, uno degli anni in cui si è riproposto il connubio tra moda e arte, con il conseguente e preponderante ritorno dei colori brillanti, è stato il 1967, quello che Lauren Whitley, Curator of Textiles and Fashion Arts at the Museum of Fine Arts in Boston, nel suo paper “Psychedelic to Camp: Color in Fashions 1967-1973” definisce il momento culmine della moda psichedelica. La scena artistica Londinese era infatti governata da gruppi collettivi come i The Fool che creavano oggetti d’uso comune, poster, album e linee di vestiti riproducenti le visioni indotte dall’uso di acidi con mix di fantasie e pattern caleidoscopici in giallo, arancione, viola e verde. Il must-see shop per i completi maschili era Granny Takes a Trip, il famoso negozio londinese all’avanguardia in cui le giacche erano “di qualsiasi colore potesse infastidire i genitori” e di materiali particolari come seta, raso o velluto, in modo che trasmettessero anche una sorta di “esperienza tattile” diversa dalle solite giacche “da vecchi”.

Illustrazioni, abiti e il grande murales del negozio dei The Beatles “Apple Boutique”, tutto realizzato dal collettivo di artisti psichedelici The Fool 

Gli abiti maschili di Granny Takes a Trip 

Continuando il viaggio nel tempo approdiamo ai giorni nostri grazie a Giulia Tonucci, PHD dell’Università di Bologna, che con la sua ricerca “The Performing Color of Wearable Technologies” illustra come dall’avvento della tecnologia nella moda, i colori non sono più una semplice caratteristica degli abiti, ma un loro elemento performante spesso associato a movimenti del corpo o addirittura a suoni. Tra gli esempi più curiosi riportati vi è il famoso Transformer dress della collezione autunno inverno 2007 di Hussein Chalayan, un abito a più strati costellato da luci a LED in cui speciali sensori di movimento accorciano o allungano gli orli dell’ultimo layer rivelando la complicata struttura inferiore.

LED dress – Hussein Chalayan – autunno inverno 2007

Concludo questo post dedicato al rapporto tra arte, moda e colore proiettandoci direttamente nel futuro con “Color Tuning” la APP sperimentale che l’artista Alexandra Murray-Leslie ha presentato in esclusiva al Costume Colloquium IV con un’art-performance dimostrativa. L’applicazione pensata principalmente per la performing art (o anche per le sfilate) funziona puntando il mirino digitale dell’iPad su un abito. Tramite specifici algoritmi questo identifica colore e tipologia di vestito e lo trasforma in un suono. Ad ogni movimento del mirino si avrà quindi una combinazione cromatica e sonora diversa che riesce a “sintonizzare” i vari corpi che interagiscono tra loro, permettendo così al pubblico e all’artista di vivere una vera e propria esperienza sinestetica coinvolgendo più sensi contemporaneamente.

 

Costume Colloquium IV - Alexandra Murray-Leslie - Color Tuning
Alexandra Murray-Leslie – Color Tuning – @alexcommentator instagram

Alessandro Masetti – The Fashion Commentator

Italian architect into fashion. Art curator in love with books, flea markets and interior design.

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