Fino al 30 agosto 2015 grazie alla mostra “Tamara de Lempicka”, prodotta da 24 ORE Cultura e Arthemisia Group, il Palazzo Chiablese di Torino si trasforma in un catalogo documentario che attraverso fotografie, ritagli di giornale, copertine, disegni, filmati e quadri, smaschera ogni segreto della grande artista.
Di sala in sala, infatti, la curatrice Gioia Mori sviscera episodi e temi che hanno portato Tamara de Lempicka ad essere ciò che stata ed è tuttora: un modello di forza e indipendenza femminile; una donna intimamente e affettivamente fragile; una madre poco premurosa, ma comunque ossessionata dalla presenza della figlia; un’icona glamour in ogni epoca in cui ha vissuto; ma soprattutto, un’artista riconosciuta a livello mondiale e forse l’unica veramente capace di cogliere e sintetizzare lo spirito del tempo nelle sue opere.
Tamara de Lempicka, la diva artista
L’itinerario inizia con un’articolata timeline che proietta i visitatori in una vita da romanzo in cui l’aura del personaggio si confonde con la persona, almeno finché non si entra nel vivo della produzione artistica e ci si lascia ammaliare dal suo stile plastico, scultoreo, allo stesso tempo caldo e sensuale, quasi peccaminoso, ma mai volgare. Uno stile personale e originale frutto di una vita immersa nel “Bello”, prima a fianco della famiglia che la introduce negli ambienti più alti della società russa (inizio Novecento); poi accanto al nobile marito, l’avvocato polacco Tadeusz Lempicki (sposato nel 1916); per continuare in seguito a Parigi, dove intraprende la vita da artista esponendo ai Salon des Indépendants e d’Automne, e frequentando salotti culturali in cui vive a pieno anche la sua sessualità legandosi fisicamente e spiritualmente con donne e uomini.
Gira il mondo approdando anche a Firenze per studiare i Manieristi, e mentre le sue quotazioni d’artista salgono, la vita personale sembra andare a rotoli: divorzia dal marito, anche lui fedifrago e si sposa qualche anno più tardi col barone Kuffner (1928), ma non per questo smette di essere libera e di frequentare altre donne.
Tamara de Lempicka e la moda
Nonostante il leitmotiv costante dell’opera di Tamara de Lempicka sia la composizione grafica da rivista patinata, acquisita e affinata molto probabilmente durante i suoi esordi Parigini come illustratrice di moda, le varie sezioni della mostra cercano di far luce sulle passioni e gli eventi della vita personale che hanno condizionato cambiamenti tematici e stilistici nella sua opera.
Il gusto eccelso in ambito moda è ben evidente nella selezione di foto in cui Tamara posa come una diva. Appassionata di cappelli e gioielli importanti, i suoi quadri diventano dei veri e propri rilevatori di tendenze riproducendo il nuovo stile degli abiti tagliati in sbieco di Gres, Vionnet e Rochas, facendoli indossare a seducenti modelle-amanti dagli occhi azzurri o alle donne più ricche del periodo, fiere di farsi ritrarre dalla nuova artista moderna, che nell’immaginario collettivo stava occupando quello che fu il posto di Giovanni Boldini nella Parigi di fine Ottocento.
Il fascino evocato dalle pose delle sue foto personali si scontra però con la realtà di una gestualità nevrotica fatta di scatti improvvisi immortalati nei filmati presenti in mostra, quasi disturbando quell’immagine di donna perfetta dalla vita da sogno che ha sempre cercato di diffondere sui media. Tuttavia è impossibile resistere alla sua classe.
Tamara de Lempicka e il contemporaneo
Lo spiccato senso dello stile contemporaneo di Tamara de Lempicka traspare non solo nei quadri, ma anche negli interni delle sue case sparse in giro per il mondo. E’ infatti impressionante notare come il suo estro d’artista unica nel suo genere le permettesse di ottenere un certo riscontro mediatico anche in più campi, tra cui l’arredamento d’interni (grazie alla nota sorella architetto) anticipando o assecondando le tendenze con elementi e dettagli particolari come:
le tappezzerie per le poltrone della casa studio a Parigi, decorate con le sue iniziali stilizzate, prima ancora che esistesse il concetto di logo;
o gli antichi mobili in stile barocco interamente dipinti di bianco, per creare un forte contrasto con le pareti dai colori brillanti dell’appartamento di New York, secondo il gusto che tanto piace agli americani e di cui il cinema è pieno di esempi.
La Fase Mistica
Un altro aspetto interessante e riccamente analizzato nell’esposizione torinese è quello che mi piace definire come Fase Mistica, ovvero quel periodo vissuto anche da molti pittori prima di Tamara de Lempicka, che dopo aver dedicato la vita a soggetti sensuali, scoprono una dimensione religiosa intima in cui volersi ritirare.
Madonne, vergini in preghiera, ma anche scene di Maternità rivelano come dietro il successo arrivato con l’esibizione di corpi nudi, vi fosse anche una dimensione di sacralità privata che raggiunge il suo acme nell’opera “Madre Superiora”, in cui Tamara de Lempicka ritrae la madre superiora di un convento vicino Parma, dove si recò durante un soggiorno a Salsomaggiore negli anni in cui soffriva di depressione. Il quadro però fu realizzato a New York nel 1939 durante un’estasi creativa di tre settimane che la portarono a ritrarre il volto piangente di quella madre superiora che sembrava essersi fatta carico di “tutta la sofferenza del mondo”, come amava dire descrivendo il quadro ai suoi ospiti nella villa a Beverly Hills, dove si trasferì col marito durante la guerra (1940).
Il punto debole
Nonostante la mancanza di molti quadri noti, la mostra merita un giudizio complessivamente positivo (soprattutto per contenuti), anche se purtroppo l’allestimento si è rivelato essere un vero e proprio tallone d’Achille.
Nelle prime sale introduttive si trova un’interessantissima timeline, ricca di date, testi, immagini e quadri, che nonostante l’armonica disposizione, nella mattinata di un sabato qualunque risultano fin troppo ravvicinati, soprattutto considerando il grande flusso turistico (atteso e annunciato) dovuto all’ostensione della Sindone e alla riapertura del Museo Egizio; una sala in più avrebbe evitato il pellegrinaggio di lettori spazientiti davanti a lunghe didascalie e a quadri di piccolo formato. Inoltre, in molti casi le didascalie delle singole opere o sono posizionate troppo in basso o sono troppo poco illuminate. La sensazione più spiacevole si ha però nell’ultima sala, quando il visitatore viene catapultato d’improvviso nel bookshop senza alcun filtro, come se non vi fosse un vero e proprio congedo dalle opere della grande artista.
A parte questi dettagli sull’allestimento, la mostra offre una nuova lettura del mito di Tamara de Lempicka e la curatrice Gioia Mori si conferma esserne la più grande studiosa, appassionata ed esperta in tutto il mondo, e forse anche la sua più cara amica; in fondo, nell’era dei rapporti virtuali, il fatto che l’artista non sia più viva è solo un dettaglio trascurabile.
Alessandro Masetti – The Fashion Commentator
Se ti dico che non mi piace, mi uccidi, ve?
Ciao MKD,
Nonostante il continuo (e talvolta noioso, se non addirittura antiquato) dibattito filosofico sull’oggettività della bellezza, io penso che l’arte, così come la moda, non sia una scienza certa ed esatta, perciò non vi è motivo per cui ciò che piace a me, debba per forza piacere anche agli altri.
Sì insomma, tranquilla, non ci sarà alcun delitto! 😉
A me invece è piaciuta la mostra, soprattutto dal lato contenutistico.
Concordo con te sia sulla difficoltà di lettura delle didascalie, sia sul mancato concetto..ci sono rimasta malissimo quando sono uscita dalla sala e ho trovato il bookshop!
La cosa che è mi è piaciuta di più (a parte molti suoi quadri ovviamente) è stata sicuramente lo scoprire molti aspetti della vita dell’artista che non sapevo, davvero una vita da romanzo come l’hai definita tu!
XOXO
Cami
Paillettes&Champagne