Almeno per ora, non c’è nessun ferito nello scontro tra le due collezioni primavera estate 2017 di Dior e Valentino.
Quella che si era prospettata come una guerra delle due rose tra l’ex duo creativo del brand Valentino, si è conclusa con una pace dichiarata da entrambi i fronti.
Da una parte Maria Grazia Chiuri, donna dal carattere forte, a capo della maison Christian Dior; dall’altra il pater familias Pierpaolo Piccioli, dolce quanto determinato e ormai unico successore di Valentino.
Una lotta all’ultimo sangue? Assolutamente no!
Con l’aplomb posato (vero o finto) che si respira nell’alta moda, i due ami-nemici (sulla cui crisi del rapporto lavorativo si vociferava da qualche stagione) hanno presenziato alle rispettive sfilate con tanto di foto, standing ovation e scroscio di applausi finali.
Il confronto
Entrambi i designer con queste due sfilate di debutto avevano qualcosa da dimostrare. Per lei, l’onere di essere la prima donna alla direzione di una maison guidata sempre e solo da uomini; per lui, la credibilità come entità creativa unica dopo esser stato parte di un duo indissolubile, almeno per la stampa.
Proprio da un punto di vista comunicativo diventa interessante il confronto tra i due set delle sfilate. Due mondi che rivelano approcci totalmente diversi e che mai avremmo pensato sarebbero riusciti a realizzare ciò che è (stato) Valentino dopo Valentino.
La Chiuri per Dior usa tavole di legno raso terra, spartane, spoglie, brutali, come quelle che si usano per realizzare le casseforme del cemento armato; quasi volesse dire: sto costruendo le nuove fondamenta e la nuova struttura portante di ciò che sarà Dior.
Piccioli invece mette a dura prova le modelle facendole incedere stanza dopo stanza, piano dopo piano dell’Hotel Salomon de Rotschild, per poi radunarle lungo le balconate del salone e farsi acclamare mentre la folla si dirige verso l’uscita. Solo che per farsi applaudire fa anche lui il giro di tutto il percorso, rampa di scale compresa: un gesto simbolico, forse metafora del lungo percorso che lo attende.
Sporty-street-couture
Nella Spring Summer 2017 di Maria Grazia Chiuri per Dior si scorgono donne dalle tante sfaccettature, ma che rivelano la sua personalità indipendente, femminista e in continua trasformazione.
Da una parte si riconosce l’anima più dura e forse più forte dell’ex duo valentiniano; dall’altra invece si percepisce la voglia di andare oltre l’heritage della maison francese, con quella che la designer stessa definisce “DIO(R)EVOLUTION” attraverso le T-shirt statement.
Basta new look, basta barocco, basta minimalismo, basta citazionismo artistico. La musa è la strada, sono le donne sportive, sono le ragazze che hanno aspirazioni che non si manifestano in vezzi d’altri tempi, ma anzi sono pratiche e sfrontate, si sporcano le mani, sono guerriere con tanto di divise da scherma.
Con lei, Christian Dior ha cambiato la sua donna fiore dal vitino di vespa in una militante che rivendica il proprio diritto di vivere secondo una bellezza non artificiosa. Infatti, dopo i fashion movie pre-sfilata incentrati sul ruolo delle donne nella maison, mediaticamente affini a una campagna politica della serie “women can do everyting” alla Hillary Clinton, emerge la voglia di cambiamento.
Maxi visiere, intimo logato in vista e abiti come armature protettive che inneggiano all’attività sportiva sono i nuovi codici estetici del brand, ma aprono la strada a riflessioni a cui solo il cliente finale può rispondere.
Se infatti Alexander Wang da Balenciaga con la sua street couture è durato meno di una farfalla in inverno, e pure Karl Lagerfeld con la ricercatezza contemporanea dedita alla praticità sportiva ha registrato un calo delle vendite da Chanel, cosa assicura a Maria Grazia Chiuri che una rivoluzione che sposa il filone street-sport-couture sia la giusta scelta?
Principesse, ma non troppo
Se da una parte la Chiuri ha il difficile compito di rivoluzionare un brand rendendolo appetibile ai millennials, dall’altra Piccioli deve consolidare il percorso svolto con lei, ma allo stesso tempo riuscire a dimostrare che da solo può farcela anche meglio di quando era parte di un team. Ciò comporta la rivisitazione dei “nuovi classici” lanciati dal duo, attraverso l’uso di una tavolozza cromatica brillante che riecheggia il Valentino Garavani originale. Fucsia, rosso, giallo e lime tornano ad essere colori determinanti da declinare su silhouette minimali tempestate di applicazioni, ma che, diversamente dalle aspettative, non sono ridondanti.
I ricami e le stampe stavolta raccontano il mondo visionario dell’artista Hieronymus Bosch filtrato attraverso l’estro di Zandra Rhodes, la designer inglese invitata a reinterpretare paradisi e inferni fantastici dell’artista fiammingo più inflazionato nel mondo della moda negli ultimi tempi.
Il vero tocco di modernità però spetta agli accessori, il cui cavallo di battaglia pare sia un minuscolo cofanetto borchiato che custodisce il rossetto Valentino n.1, il must have da collezione di una sfilata che segna la storia della maison.
Tra T-shirt militanti, elastici in vista, fiumi di chiffon e micro-beauty-minaudière, la guerra delle due rose si conclude con la pace tra i designer, il cui divorzio professionale pare sia stato vitale per il loro estro creativo.
Ma prima di poter cantare vittoria, tocca aspettare un anno per scoprire i risultati di mercato, la prova che determinerà la vera salvezza dei due regnanti.
Giusto per ricordare che il popolo della moda è il boia più temibile e insensibile, basta un errore e la ghigliottina salta.
Ma questa è un’altra storia.
Alessandro Masetti – The Fashion Commentator
Ph credits: nowfashion.com